giovedì 3 maggio 2012

martedì 01 maggio 2012 - risveglio 9.00

Voglio farmi  tatuare una frase di Charles Bukowski. L'aspetto più ridicolo di questa faccenda è che non sono neanche sicura di aver letto un suo romanzo, forse qualche poesia.
Questo forse spiega perché è il tatuatore ad avere il libro di Bukowsky in mano, tenendolo aperto alla pagina giusta con un dito. Cerco di sbirciare la frase, che sembra piuttosto lunga.
Il tatuatore è inquietantemente simile a un concorrente ex-tossico di X-Factor USA, che ho visto ieri come tutti i lunedì sera, ma col cipiglio meno ridente, più simile negli atteggiamenti a Gianluca, il tizio che pochi giorni fa mi ha tatuato i fiori di ciliegio.
Il cliente precedente sta ancora rivestendosi,  il tatuatore sembra molto consapevole di cosa va fatto, mentre io sono lì con un sentimento di incertezza, come se avessi precedentemente deciso di fare il tatuaggio e adesso non fossi più tanto sicura di volerlo. Sorrido in maniera imbarazzata, perché mi vergogno al pensiero di tirarmi indietro.
Mentre un suo collega cicciotto ci osserva incuriosito, il tatuatore mi spiega come ha concepito il tatuaggio:  scritte sulla zona laterale-posteriore del polpaccio, che si allargano sul retro della gamba e rimpiccioliscono sul laterale. La cosa non sembra avere molto senso, ma oggettivamente non so cosa obiettare, dato che sto scoprendo in questo momento perfino il luogo dove devo essere tatuata. Nel tentativo di prendere tempo rileggo la frase sul libro e mi rendo conto che è un po' bizzarra, come fosse il verso di una poesia futurista: al suo interno, tra le parole, ci sono anche degli elementi grafici, in particolare volti di persone messi in fila; secondo una logica imperscrutabile gli elementi grafici giustificano ai miei occhi la scelta delle lettere che rimpiccioliscono e il tatuatore appare sollevato.
Cerco di ricondurre i volti disegnati a persone a me note, ma senza successo; a peggiorare la situazione, ogni volta che do un'occhiata al libro la citazione cambia di lunghezza, contenuto e posizionamento sulla pagina, impedendomi di leggerla per intero, distinguo soltanto le parole "vita" "amore" "terremoto".
Improvvisamente comprendo le mie incertezze sul tatuaggio: il libro è una traduzione in italiano, quindi non è la citazione originale. Lo dico ai due tatuatori, sollevata di avere un motivo concreto per uscire dalla situazione senza che sembri un capriccio.
Il mio tatuatore comunque non sembra avere molto a cuore la mia volontà, come se non avessi detto nulla si mostra spazientito perché non c'è molto tempo e il tatuaggio da fare è molto esteso.
 Al contrario l'altro ha pietà di me e mi porta in un'altra stanza con una grande scrivania bianca (tutto il posto è prevalentemente bianco, con dettagli gialli);  consegnandomi un Ipad mi dice che ho due minuti per cercare online la frase originale in inglese. Lo ringrazio, ma in verità sono in ansia perché non credo di farcela in così poco tempo. Mi porge un ritaglio di carta troppo piccolo, dove trascrivere la frase una volta trovata, perciò  gli chiedo se posso usare uno dei block notes sulla scrivania.
Nel frattempo scherzo con lui per distrarlo dal passare del tempo, gli dico che il collega sembrava un violentatore, per quanta fretta aveva di tatuarmi e per gli atteggiamenti sbrigativi.
vedendolo perplesso, imito con la penna in mano quello che era successo nell'altra stanza, cioè il tatuatore che tiene in mano la macchinetta con l'ago come fosse una siringa e con l'altra mano inizia a sbottonarmi la camicetta bianca.
Solo adesso, nel copiare il gesto,  mi rendo conto che doveva avere un intento erotico, dato che non c'è motivo di togliersi la camicia per un tatuaggio sul polpaccio. Anche questo mi ricorda i fiori di ciliegio che ho sulla spalla, per quelli aveva senso spogliarsi.
 L'imitazione diverte parecchio il tizio cicciotto e sbottiamo entrambi a ridere.